Mouryou no Hako – La scatola degli spiriti maligni

fonte Jigoku.it

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    Quando si tratta di aver a che fare con un omicida, si sente spesso definire le persone in grado di compiere simili atti barbarici paragonati più a mostri che a veri esseri umani, come se l'atto stesso di prendere un'altra vita demonizzasse l'individuo agli occhi di chi gli sta intorno. Si parla allo stesso modo dei moventi che possono spingere a compiere un simile gesto, ma in quasi nessun caso essi vengono considerati come attenuanti della colpa, all'interno di società occidentali. Vi è l'esempio però presentato nel secondo episodio dell'anime da Chuuzenji Atsuko, sorella di uno dei protagonisti, che riferendosi alle parole di quest'ultimo indica l'atto di commettere un omicidio come l'esito dell'intervento di un 'toori mono' (通り者 ), secondo il folklore giapponese un'entità mitica che si fonde con la persona causandole sfortuna, e la cui venuta segnerebbe il punto passaggio fra il normale e l'assassino. Questo vuol quindi far porre allo spettatore delle domande che resteranno basilari per tutta la durata della serie: quando viene commesso un omicidio si può veramente parlare di pazzia? Cosa pensa una persona che sta coscientemente privando il suo prossimo della vita?

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    Ed è quindi con questi trastulli di pensiero che avvicinano il mondo del reale con quello sconosciuto della mitologia, l'uso di numerosi concetti base e approfonditi della tradizione giapponese e giochi di parole basati sulla mescolanza o natura ambivalente di significati dei kanji, che si presenta Mouryou no Hako. Originariamente appartenente alla serie di romanzi Kyougokudou di Kyougoku Natsuhiko, e vincitore del 49esimo Premio della lega degli scrittori giapponesi di romanzi gialli, l'anime frutto dello studio Madhouse è la seconda trasposizione che esso riceve, dopo un adattamento in versione manga omonimo.

    Lo schema di Mouryou no Hako si svolge seguendo atti canonici in un giallo dedicato a degli omicidi seriali, e fra loro ben delineati, che consistono in un prologo che occupa il primo terzo circa della serie, le puntate dedicate alla comparsa graduale di tutti gli investigatori e le annesse indagini e infine il climax con risoluzione dell'enigma. Osservando le prime puntate inoltre sarà poi facile notare numerosi paralleli, sia per ambiente che per situazioni, fra questo titolo ed i successivi Kara no Shoujo e Psycho Pass (alcuni episodi di quest'ultimo). Ovviamente, se lo schema di sviluppo fosse così ben demarcato si parlerebbe quasi di un'opera teatrale separata da più intermezzi; Mouryou no Hako invece mescola per gradienti i suoi contenuti, in modo che quando ci si rende conto di essere passati da un atto all'altro il cambiamento sia ormai totale e quasi impercettibile.

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    Estate, 27esimo anno dell'Era Showa (1952); mentre il Giappone si apre sempre più al mondo occidentale sia in ambito culturale che linguistico, due studentesse liceali, Yoriko e Kanako, sono alle prese con la difficile età della crescita, e in questo clima diventano amiche. Iniziano a frequentarsi per discutere di letteratura, escono la notte per danzare sotto la luna piena. La loro stretta reciprocità, che pare superare anche il rapporto di semplici amiche, è dettato dalla curiosa rivelazione che Kanako rivolge a Yoriko durante una loro sosta in una locanda locale: “Tu sei me, la mia reincarnazione. Io sono la tua vita passata” le dice. Cosa la ragazza volesse intendere con queste parole non è immediatamente reso noto, forse che volesse riferirsi a come le due erano predestinate ad incontrarsi e il loro destino è unito da uno stretto filo, lo stesso che Kanako avvolge intorno al polso dell'amica?

    Nonostante la misteriosa situazione familiare di Kanako e la complicata lotta fra Yoriko e la propria madre, le giornate delle due ragazze sembrano scorrere dolci e limpide, come la barca su cui hanno attraversato la corrente cristallina di un fiume. Questo almeno finché non iniziano a verificarsi eventi di sangue nel loro paese di provincia.

    Subentrano quattro amici, Kiba, Sekiguchi, Enokizu e Chuuzenji detto “Kyougokudou”, tutti coinvolti per una ragione o per un'altra dentro le indagini che di lì a poco sarebbero state aperte, e tutti in prima fila per decifrare il mistero che lega le diverse studentesse scomparse, uccise e ritrovate smembrate all'interno di scatole.

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    Se dall'inizio della sinossi fino al suo termine si è notato un profondo cambiamento di tono, il tutto è dovuto al fatto che Mouryou no Hako è un titolo quasi impossibile da riassumere seguendo uno schema unitario: in primo luogo perché vi sono continui cambi di prospettiva nella vicenda e non tutti questi saranno direttamente legati con quello che può essere identificato quale filo conduttore, ovvero le indagini riguardanti gli omicidi; secondariamente perché, seguendo uno schema narrativo originariamente in formato di romanzo, non contempla una divisione in “episodi” fra loro separati, richiedendo dunque che l'opera, per poter essere narrata così come l'autore l'ha concepita, andasse racchiusa in un film lungo oltre 4 ore di pellicola. Per cercare di rendere ancora più chiaro il grande muro contro cui la produzione animata è andata a scontrarsi, si pensi ad una serie in cui ogni puntata è inviolabilmente legata alla successiva, dove non ci sono momenti di spiegazioni o sviluppo continui, e tutto il resto è un intricato collage doyliano di indizi ed eventi che favoriscono l'immersione nel clima del thriller. Analogamente ci si potrebbe riferire ad un giallo di Agatha Christie, solo senza il lungo elenco di dramatis personae e in cui personaggi fondamentali possono essere presentati anche a metà, se non nell'ultima parte dello spettacolo. Uno schema forse non assurdo da concepire in formato narrativo, ma che di sicuro rischia di confondere in una produzione seriale animata.

    A rendere ancora più ostica la visione allo spettatore che si avvicina al titolo per la prima volta non ci sono poi solamente il discreto numero di giochi di parole strettamente giapponesi, ma anche la continua sensazione che alcuni discorsi o personaggi vengano presentati come se la loro conoscenza fosse specificatamente richiesta fin dall'inizio dell'anime. La causa di ciò risiede sempre nella natura originale di romanzo del titolo: si è detto che Mouryou no Hako fa parte della produzione dello scrittore Kyougoku Natsuhiko come uno dei diversi capitoli della serie dedicata a Kyougokudou, l'ateo 'onmyouji' (陰陽道) gestore dell'omonima libreria d'antiquariato, e dei suoi compagni. In particolare, questo è il secondo libro della saga, pubblicato nel 1995 susseguente Ubume no Natsu, dove già volti e personalità principali erano state distinte. Non si vuol dire che l'anime abbia fatto un pessimo lavoro nella costruzione della sua ambientazione nonostante queste premesse che a tutto sembrano puntare meno che ad un successo; difatti, lo sceneggiatore Murai Sadayuki, già reso noto dalla sua collaborazione per Kino no Tabi, Cowboy Bebop, alcuni film di Satoshi Kon e il recente adattamento di Knights of Sidonia, è riuscito a permettere che la quasi totalità del contenuto venisse adeguatamente trasposto nella serie, in modo da non lasciare nessun buco troppo ampio.

    Nel caso poi lo spettatore voglia godere di un maggiore approfondimento della saga ma non avesse i mezzi per leggere in lingua originale i romanzi, il primo capitolo è stato pubblicato in inglese con il titolo Summer of Ubume ed adattato in un film live action del 2005.

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    Tornando a Mouryou no Hako e alla sua struttura narrativa: quella che in principio può apparire come una forte impressione di confusione nei contenuti e negli spostamenti tra prospettive, alle volte molto rapidi altri che per interi episodi restano fermi su di una singola scena, viene in parte mitigata dalla ottima regia di Nakamura Ryousuke (Nerawareta Gakuen, Aiura), che gestisce cambi di tonalità e curiose invenzioni di inquadrature per conferire un rinnovato senso di mistero e angoscia in diverse sezioni, facendo sì che anche durante dissertazioni e flashback i personaggi abbiano modo di interagire, che sia in azioni o in parole, dinamicamente con la scena.
    Questo può specialmente essere notato nei frangenti in cui ci si sofferma sui contenuti di follia dietro gli attimi in cui Kiba si trova ad affrontare i fantasmi dei soldati morti contrapposti al suo essere reduce. Oppure anche nella ricorrente immaginazione ossessiva di Sekiguchi, anch'essa, seppur mai esplicitato nell'anime in questione, frutto di disordini causati dalla guerra in cui ha combattuto con Kiba, disordini che lo portano a figurarsi protagonista di ogni storia che legge o scrive, con esiti infausti per la sua sanità. In questi casi avranno importanza fondamentale i colori, in particolare filtri più scuri e tendenti al rosso sangue, movimenti di camera più agitati, effetti sonori incalzanti e ripetuti.

    Un altro pregio della regia è il modo in cui quindi riesce a coniugare in un risultato così trascinante una serie che si basa quasi esclusivamente sui lunghi, arguti e continui scambi di dialoghi che compongono la storia. Tenendo fede alla buona scuola di narrativa criminale, i personaggi non si troveranno invischiati in viaggi da una scena del crimine all'altra a raccogliere indizi, interrogare indiziati o testimoni e confutare tesi e ipotesi assurdi trucchi di logica. Tutt'al più sarà già tanto se uno solo di loro si troverà per caso sul luogo di uno degli incidenti infatti. Mouryou no Hako è una storia dove si ragiona di ingegno, la polizia o chi per loro fa le sue rilevazioni e i dati vengono poi rimessi insieme, seduti in gruppo ad un tavolino pieno di appunti e note.
    Smorzerà di sicuro le aspettative di molti, ma facendo permanere, come si è detto non perfettamente, uno stile di romanzo ci si può anche giostrare su curiosi espedienti di narrativa: l'esempio principe sarebbe il modo in cui un'indagine storica lunga quasi dieci minuti riguardante reali esperimenti di fenomeni psichici eseguiti in Giappone due secoli fa, ovvero il lavoro del professore Fukurai Tomokichi circa le autoproclamatesi veggenti Mifune Chizuko e Nagao Ikuko, altro non serva se non come una presentazione ad effetto di uno dei protagonisti! Presentazione che comunque tornerà utile più in là per aiutare a far quadrare i conti nella soluzione di uno dei misteri, in barba a chiunque pensasse esaurisse la sua utilità come mero riempitivo o sfoggio di cultura.

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    Andando avanti si entrerà in discorsi ancora più specifici, ad esempio nell'episodio in cui sviscerano l'etimologia e i vari possibili significati del termine 'mouryou' (魍魎), dove il primo carattere 'mou' (魍) è riferito agli spiriti delle montagne e dei corsi d'acqua, mentre 'ryou' (魎) riguarda gli spiriti degli alberi e delle rocce. Nella serie ci si addentra poi ancora più nel dettaglio delle diverse interpretazioni storiche confutate.
    Il discorso circa l'esistenza o meno dei 'mouryou' come spiriti o semplicemente come materializzazioni delle paure umane costituirà una parte portante della morale della serie. Fino alla fine essi possono essere interpretati come gli effettivi “folletti”, “goblin” o “spiriti maligni” che infestano gli esseri umani, oppure le turbe mentali che affollano la mente come conseguenza di eventi o traumi, e la gestione fra reale e sovrannaturale in ciò resta uno dei punti chiave, nonché aspetti salienti del titolo. Sekiguchi stesso ad un certo punto rifletterà sui propri disturbi, le cui ragioni sono da riferirsi ad avvenimenti totalmente terreni, come all'opera di un 'mouryou'.

    Alla minuziosa regia descritta in precedenza si va ad aggiungere un insieme di immagini e scene oniriche che fin dai primi secondi della serie rendono ancora più confusa la demarcazione del reale con l'ignoto, e proseguono tramite sogni, fantasie o semplici esempi visivi ad oscillare lungo questa linea per tutto l'anime. Ad accompagnare le immagini sono i colori e la luce, in quest'opera usati ad un livello quasi maniacale, con filtri di arcobaleno e tonalità di smeraldo brillante che dominano sulle scene e i paesaggi perennemente illuminati dal sole estivo, in un contrasto vincente con la tensione dell'opera, anche in locazioni più claustrofobiche come la casa di Kubo e il laboratorio di Mimasaka. Non parimenti smagliante è la realizzazione delle animazioni, in particolare dei personaggi, il cui design firmato CLAMP salterà subito all'occhio, ma le cui forme traballano molto in qualità: alcuni primi piani e composizioni potranno essere realizzati con una cura particolare, mentre nelle scene in movimento o piani ampi si vedranno personaggi appena abbozzati e sagome dai dettagli indistinguibili.
    A peggiorare le cose un'integrazione non eccelsa, quanto inutile, e alle volte anche abbastanza mediocre di modelli in computer graphic, in particolar modo per vetture e movimenti di telecamera che, pur non essendo fortunosamente mostrati in ogni puntata, hanno comunque picchi di bassezza qualitativa improponibile per un anime realizzato nel 2008, tanto più se il marchio dietro è Madhouse.

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    Il comparto sonoro è in generale adeguato al genere di serie che Mouryou no Hako si propone di essere: basandosi infatti più su dialoghi che vera azione alle musiche incalzanti e drammatiche vanno preferite melodie di atmosfera e brani che ricorrono principalmente a tonalità classiche, cosa che effettivamente è qui presente. Vanno infine ad aggiungersi anche le sigle di apertura e chiusura, che invece rovesciano questo bisogno e sfoggiano movenze più ardite tipiche del rock misto pop giapponese moderno.

    La cosa fondamentale a cui prepararsi quando si guarda Mouryou no Hako è l'immensa mole di discorsi e di riferimenti circostanti il folklore di cui cui l'autore Kyougoku si è dimostrato profondo conoscitore e grande appassionato, a cui solo in seguito è da associarsi un romanzo di mistero che si delinea per 13 serratissime puntate. Seguendo uno stile similare di connubio fra investigazioni e immersione in un Giappone studiato in maniera ancora più artistica e legato alla sua mitologia, è facile citare per il pubblico il gioiello Mononoke della Toei Animation, oppure la serie Aoi Bungaku, con cui sono condivise le atmosfere e in parte il regista Nakamura, che si è occupato delle puntate 9 e 10.
     
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